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Nonostante le tensioni internazionali, il prezzo del petrolio continua a scendere. Soltanto pochi giorno fa infatti il prezzo del Brent (ovvero il greggio più scambiato al mondo) è sceso sotto la soglia dei 100 dollari al barile. Il Wti statunitense sembra invece prossimo a sfondare, sempre al ribasso, quota 90 dollari.
É dallo scorso mese di giugno che è incominciata questa tendenza ribassista, quando si è partiti da una quotazione di 115 dollari per scendere, come anticipato, sotto la soglia psicologica dei 100 dollari. Il Brent è arrivato perfino a toccare quota 96,21 dollari, il livello più basso dal luglio del 2012.
Da questa breve analisi sui prezzi delle quotazioni, ne consegue che oggi gli investitori non hanno alcun timore delle tensioni geopolitiche e dei conflitti scoppiati in diverse aree del mondo.
L’Isis in Iraq, le tensioni tra i paesi dell’Occidente e la Russia per la vicenda dell’Ucraina, le guerre in Libia, l’Iran in una situazione ancora molto instabile e su cui gravano le sanzioni occidentali.
È evidente che ormai il petrolio è un mercato che non si lascia influenzare dai fatti esterni ma invece è sempre più regolamentato dalle rigide leggi economiche.
Naturalmente occhi sempre puntati su paesi come l’Arabia Saudita, il massimo produttore all’interno dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec). Qualunque sia la situazione politica ed economica globale, i sauditi influenzano ancora molto il mercato mondiale del petrolio, assicurando una certa tranquillità sui mercati, nonostante i conflitti e le guerre scoppiate in diverse aree del pianeta.
Occorre capire fino a quando i sauditi riusciranno a mantenere questa posizione di leadership sul mercato, soprattutto nell’eventualità di una domanda costantemente in calo. Senza considerare l’avanzata di altri paesi, come ad esempio il secondo produttore Opec, l’Iraq, che nonostante l’Isis, si sta riaffermando come una grande realtà nel comparto degli idrocarburi, con l’obiettivo dichiarato di far crescere la produzione, sia quest’anno che il prossimo.
Naturalmente non si può prescindere e non tenere conto dello shale oil di Stati Uniti e Canada, che ha registrato una produzione giornaliera record pari a 8,4 milioni di barili al giorno.
Continua invece ad arrancare l’Europa a causa del perdurare della crisi economica, ed anche in Cina le importazioni di greggio crescono meno del previsto.
Una cosa è certa: nei Paesi produttori l’attività estrattiva non sembra essere per nulla influenzata dalla situazione politica, anche se i prezzi e la domanda sono in costante calo.